I motivi per cui l’Italia partecipa alla seconda guerra mondiale derivano principalmente dalla natura intrinseca del Fascismo come regime, un regime spesso definito da una non-ideologia che rifiuta le altre ideologie, basato unicamente sulla volontà di affermazione e di potenza.
Spesso, errando, si dice che Mussolini abbia fatto tutto giusto tranne entrare nella seconda guerra mondiale. In realtà non è così. Il Fascismo dopo l’apice del consenso, non misurabile secondo criteri democratici, ma esistente, era entrato in una spirale involutiva.
La partecipazione alla guerra coloniale in Etiopia e poi in Spagna, se da un lato avevano dimostrato la tendenza militarista di Mussolini, dall’altro avevano consumato le riserve di armi e munizioni, condannando il paese a un’arretratezza economica, dal punto di vista bellico, che si sarebbe riversata sui nostri soldati e sui civili.
È straordinario come nel triennio che precede la guerra, l’Italia non abbia sviluppato alcuna tecnologia bellica di rilievo, mentre gli avversari e gli alleati capiscono, ad esempio, che l’arma aerea sarà decisiva, sviluppando velivoli sempre più veloci.
A parte il capitolo dell’impreparazione bellica, che è ben noto e drammatico, il motivo principale per cui l’Italia partecipa alla Seconda Guerra, esauriti i motivi di riscatto risorgimentale, evaporati dopo la Prima Guerra Mondiale, è quello di sedersi al tavolo dei vincitori.
L’Italia dal punto di vista diplomatico è sempre stato un paese opportunista, che cerca di trarre vantaggio dalle situazioni contingenti per ottenere dei vantaggi momentanei. Al tempo i vantaggi conseguibili si misurano nelle acquisizioni di nuovi territori e nell’accesso a più ampie sfere di influenze.
L’Italia entra in guerra impreparata
Sfortunatamente per noi, Mussolini non aveva un piano di contingenza di largo respiro per la guerra. La sua unica reale preoccupazione era quella di entrare rapidamente a fianco della Germania, una volta che questa aveva messo K.O. la Francia, per approfittare della debolezza dello storico avversario d’Oltralpe per cogliere vantaggi territoriali.
È nota la frase, che dimostra tutto l’opportunismo anche miserabile di Mussolini, un leader ormai annebbiato dalla sua stessa propaganda, circa la necessità di avere qualche migliaio di morti da portare al tavolo della pace.
Mussolini dunque portò l’Italia in guerra, nonostante la grande impreparazione, sfumata dalle bugie compiacenti dello Stato Maggiore, perché riteneva che la vittoria fosse a portata di mano. Naturalmente la vittoria era della Germania e non dell’Italia.
C’erano poi delle motivazioni psicologiche: a chiunque, nel 1940, ma già a Monaco nel 1938, era parso chiaro che il vero deus ex machina della politica europea e capo dell’Asse era Hitler. Nonostante Mussolini godesse di un indubbio successo, riconosciuto dagli attestati di stima di qui e al di là dell’Oceano Atlantico, le sue aspirazioni non combaciavano con le reali potenzialità del nostro paese, un nano economico rispetto alle grandi potenze. Mussolini aveva saputo sfruttare intelligentemente questa sua posizione di equilibrio tra Francia e Germania, le storiche rivali del continente europeo, per tutto il periodo precedente alla guerra di Etiopia. Ricorderete quando si oppose fieramente ai propositi di annessione dell’Austria di Hitler, nel 1934, facendosi garante della neutralità austriaca.
La necessità quasi storica di trovare per l’Italia uno sbocco coloniale – una mossa anacronistica e ormai indifendibile, considerati i tempi – lo consegnò nelle mani della Germania. Hitler, un politico intelligente e fine, riuscì a spezzare l’isolamento diplomatico tedesco appoggiando le rivendicazioni italiane, rifornendo il nostro paese di materie prime necessarie alla conquista dell’Impero e alla gestione ordinaria, contro le sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni.
Eppure, tutti i documenti oggi in possesso degli storici, dimostrano che l’opposizione di Francia e Gran Bretagna all’avventura nel corno d’Africa era più di facciata. In sostanza Mussolini avrebbe potuto ottenere molto di più se si fosse interposto come equilibratore reale nelle dispute tra Hitler e gli altri paesi, ormai in rotta di collisione.
Invece a Monaco, il Duce, nonostante il successo propagandistico della finta pace raggiunta dai quattro grandi, fu trattato come un rappresentante e portavoce di Hitler. Questi peraltro riuscì a scalzarlo ancora una volta appena un anno dopo, con il patto con l’Unione Sovietica, che scioccò Mussolini e la diplomazia italiana.
Quindi Mussolini, vedendo in che modo il suo allievo si muoveva, fu certamente trascinato da motivazioni personali oltre che dalla speranza di poter ottenere dei vantaggi territoriali contro la Francia, segnatamente nelle colonie che si affacciavano sul Mediterraneo, immediatamente occupate, e le importanti località della Provenza (la flotta francese faceva gola).
Le scelte belliche sbagliate
L’Italia dunque entrò nella Seconda Guerra Mondiale per assecondare questo desiderio di grandezza. A dimostrarlo ci sono le mosse successive alla “pugnalata alle spalle” contro la Francia; esempio la guerra in Grecia e quella nel Nord Africa. I fatti bellici nel giro di pochi mesi però segnarono immediatamente il disastro: le nostre truppe erano incapaci di sostenere una vera offensiva su più fronti. Il comando marino, disorganizzato, fu spazzato via dall’offensiva di Taranto e nella battaglia di capo Matapan, nel quale fu resa evidente l’incapacità del nostro stato maggiore di coordinare una guerra totale. La colpa di queste sconfitte si deve principalmente a Mussolini che volle entrare in guerra rapidamente per non perdere l’occasione di sedersi al tavolo dei vincitori, senza alcuna strategia, linea di direttrice, spesso agendo di impulso, in risposta alle azioni hitleriane, come se fosse infastidito dall’eccessivo potere del suo mai troppo amato allievo.
A un certo punto, quando la guerra iniziò a presentare il conto e protrarsi nel tempo, portando il dramma nelle case degli italiani, Mussolini iniziò a sperare che la Germania si impantanasse in Russia, in modo da ottenere una pace separata basata sul logoramento. Fino all’ultimo un atteggiamento opportunista, che – ad onor del vero – è tipico del nostro carattere e che trova in Mussolini un perfetto esempio di italiano calato in una situazione più grande di lui.
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