Si dice spesso che Mussolini arrivò al potere “democraticamente” o in modo “legale”. Ma è andata veramente così? In che modo è arrivato al potere Mussolini? Come ha trasformato questo potere apparentemente legale, ottenuto con le elezioni, in un regime dittatoriale? Perché si è passati dal presidente del consiglio Mussolini al Duce Mussolini?
Mussolini prima di prendere il potere
La carriera politica di Mussolini vira e assume una grossa rilevanza nazionale quando, da direttore dell’Avanti, il quotidiano del Partito Socialista Italiano (allora il primo partito), cambia opinione rispetto alla neutralità diventando interventista. Ciò provoca l’espulsione dal PSI. Mussolini è una figura importante, ma non in grado di imporre la propria posizione politica nel panorama di quel periodo.
Tanto che non gli rimane altro che “rinascere” combattendo nella Grande Guerra e fondare un altro giornale, il “Popolo d’Italia” a sostegno della nuova tesi interventista. Ciò che il voltafaccia rivela è la sua attitudine al protagonismo, il suo forte egocentrismo, il suo desiderio di riuscire, un’ambizione che aveva dei mezzi su cui poggiare, ma che necessitava di fatti straordinari come una guerra per concretizzarsi.

Mussolini rimase ferito lievemente nel 1917 nel corso di una esercitazione. Quando la guerra finì si avvicinò a posizioni nazionalistiche, repubblicane, di rivendicazione dei “frutti della vittoria”. Fallì il primo appuntamento elettorale nel 1919, ma riuscì a farsi eleggere deputato nella circoscrizione di Milano nel 1921.
Come è possibile che da singolo deputato, che non ha ancora fondato il Partito Fascista, Mussolini sia stato in grado, un anno dopo, di andare al governo?
L’importanza del cosiddetto Biennio Rosso
Non va dimenticato che viviamo nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione d’ottobre in Russia. Il comunismo è diventato sistema politico a Mosca: sconfitti gli eserciti Bianchi, l’Armata Rossa e Lenin dominano la scena. Già si parla del pericolo di contagio rosso. E in Italia, come in Germania e in Francia, la situazione post-bellica vede un paese stremato dalle perdite, in crisi economica, attanagliato da continue settimane di scioperi.
Mussolini gioca la carta dell’ordine, una politica tipicamente di destra, per imporsi ai ceti moderati e dominanti, quale unico garante dello status quo. Egli appare la figura in grado di rimettere in ordine il paese, reprimere i moti rivoluzionari che covano sotto la cenere, e garantire ad agrari e industriali di continuare a esercitare la loro egemonia economica.
A Mussolini si aggiungono tanti giovani, studenti, reduci di guerra, piccolo borghesi (appartenenti al settore impiegatizio), insoddisfatti per l’andamento delle cose nel dopo guerra, infiammati dalle vicende di Fiume e desiderosi di trovare nel Fascismo (Mussolini fonda il movimento dopo l’elezione a deputato) una nuova identità perduta dopo l’addio alle trincee.
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La violenza politica viene anche provocata ad arte.
Mussolini utilizza la violenza verbale e fisica delle squadre d’azione fasciste, che colpiscono ripetutamente i circoli e gli esponenti del PSI, riuscendo così a ottenere un duplice scopo:
- accattivarsi l’appoggio degli industriali e degli agrari che desiderano riportare l’ordine nelle fabbriche e nelle campagne: ingenti sono i finanziamenti che riceve dai grandi gruppi del nord Italia, timorosi di una possibile rivoluzione socialista. Come capita in quegli anni, il suo giornale prende anche finanziamenti esteri.
- agitare le squadracce come elemento di disordine a livello locale, fattore che potrebbe preoccupare gli stessi industriali e gli agrari e ponendosi alla loro testa, presentandosi come unica mente politica in grado di calmarli.
Quindi è ovvio che Mussolini prepara la presa del potere usando la violenza politica come sistema in grado di aprirgli la strada.
Di fronte a lui c’era un sistema effettivamente sfinito, quello dello stato liberale, che aveva condotto l’Italia alla guerra, non senza divisioni, con le sue incertezze durante le negoziazioni e gli accordi che portano al Trattato di Versailles.
Va precisato che allora i risultati di un accordo di questo tipo, su scala internazionale, si valutavano in base alle compensazioni territoriali.
L’Italia in teoria non poteva lamentarsi di aver preso l’odierno Trentino – Alto Adige. Rimaneva irrisolta la questione di Trieste, ma le rivendicazioni su Fiume e la Dalmazia, seppure corrette dal punto di vista formale del Trattato di Londra, firmato con l’Intesa nel 1915, andavano contro l’idea del presidente americano Wilson di dare a tutti i popoli un paese dove abitare.
Detto ciò il sistema liberale dei vecchi Salandra, Giolitti, Facta, Sonnino, Orlando non era più in grado di dare risposte alle masse.
Gli industriali non si fidavano e temevano la rivoluzione socialista, mentre Mussolini sembrava voler agitare, con opportunismo e talvolta durezza, di volta in volta sia il bastone, sia la carota. Non deve sorprendere, pertanto, che il PNF si trovasse a giocare un ruolo da ago della bilancia nel momento in cui il governo Facta entra in crisi.
La marcia su Roma
Il fatto più rilevante nella presa del potere di Mussolini, che avvenne secondo le regole dello Statuto Albertino allora in vigore, fu la Marcia su Roma. Il 28 Ottobre 1922 si concentrarono nella capitale migliaia di camicie nere, con lo scopo preciso di forzare la mano del Re e affidare l’incarico di formare il nuovo governo a Mussolini.
In Parlamento il futuro Duce non aveva affatto i numeri per creare un governo da solo: nelle elezioni politiche del 1921 aveva eletto, nell’ambito del Blocco Nazionale, solo 37 deputati, appoggiati da 20 Nazionalisti e da 50 liberali giolittiani.
Le forze del PSI e del PPI di don Sturzo erano nettamente preponderanti. Eppure, il 27 ottobre, dopo aver tentato di proclamare lo stato d’assedio, Facta era stato costretto a dimettersi per l’impossibilità di andare avanti.
Nel stesso istante il Re provò a chiamare Giovanni Giolitti, il vecchio leader del liberali, nel tentativo di trovare una soluzione, ma l’ex presidente del consiglio non poteva spostarsi a Roma perché le linee ferroviarie erano già state occupate dai fascisti.

Gli accadimenti di quelle ore sono veloci, fulminei e colgono tutti di sorpresa. È ipotizzabile pensare che nemmeno Mussolini si attendesse un simile risultato.
Nel pieno della Marcia su Roma, che ormai conta 25.000 elementi nella capitale, male armati e disorganizzati dal punto di vista militare, il Re si rifiuta di firmare lo stato d’assedio, anche se ha forze sufficienti e addestrate per presidiare la capitale e respingere l’assalto.
Ma quando sale al potere Mussolini?
Nello stesso momento, si registrano incidenti a Milano, dove i fascisti impediscono l’uscita dei giornali e danno fuoco alla sede dell’Avanti, il giornale una volta diretto dal capo dei fascisti. In questo continuo turbinio di incidenti, violenze e pressioni molto forti, il Re Vittorio Emanuele III il 30 offre l’incarico a Mussolini, chiamandolo a Roma.
Che Mussolini abbia raggiunto il suo scopo preparato meticolosamente, agitando ordine e violenza, lo si capisce dal fatto che presenta al sovrano una lista di ministri completa, tanto che il gabinetto può costituirsi già il giorno successivo, con l’appoggio dichiarato della Confindustria.
Il 16 Novembre Mussolini si presenta alla Camera dei Deputati per ottenere la fiducia, presentando un dicastero misto, fatto di tecnici (come il generale Armando Diaz e il filosofo Giovanni Gentile) e uomini politici vicini alla vecchia classe liberale.
Non mancano i nazionalisti come Federzoni, mentre Mussolini tiene per sé i delicati ministeri degli Interni e degli Esteri. Nella seduta del 16 novembre Mussolini pronuncia il famoso discorso del “Bivacco”:
Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.
Con queste parole Mussolini ribadisce quindi la volontà di mediare con le forze più moderate del paese, con le classi agiate e la borghesia, per riportare l’ordine, agitando contro la minaccia socialista, quella fascista.
Non a caso chiede i pieni poteri. L’esito del voto è scontato: 316 Sì, 116 No, 7 astenuti.
Votano a favore liberali e popolari come: Bonomi, De Gasperi, Giolitti, Gronchi, Orlando e Salandra.
Il 24 novembre otterrà i pieni poteri con l’obiettivo di “ristabilire l’ordine”, e il governo potrà emanare i primi provvedimenti senza alcun reale controllo del Parlamento.
Mussolini il capobanda
Perché dovremmo vergognarci del Fascismo, di Aldo Cazzullo, 2022 (Mondadori).
La ricostruzione della presa del potere di Mussolini e del vero volto di una dittatura feroce e violenta, che viene spesso fatta passare per soft e consensuale.
Una lettura ben documentata in occasione dei 100 anni dalla Marcia su Roma.
Presa di potere “legale”, ma violenta
In definitiva, per riassumere: Mussolini prende il potere legalmente, secondo le regole dello Statuto Albertino, che prevedono che il Governo si formi in Parlamento e ottenga in quella sede la necessaria fiducia.
Tuttavia per ottenere l’incarico da forza minoritaria, esercita la violenza, sia mettendola in contrapposizione ai socialisti e ai cattolici, sia minacciandola e ponendosi come unico in grado di calmierare le squadracce d’assalto e le camicie nere.
La Marcia su Roma può essere dunque vista come un colpo di stato, nel quale però non c’è una vera resistenza del potere costituito, che sembra adattarsi alla situazione.
Nel 1924, alle elezioni generali, grazie alla Legge Acerbo, Mussolini sarà in grado di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, con il cosiddetto Listone Nazionale e da lì a un anno, in seguito all’assassinio del leader del PSI Giacomo Matteotti, mettere da parte gli indugi e instaurare la dittatura con la promulgazione delle “leggi fascistissime”.
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