Le grandi purghe staliniane

Le grandi purghe staliniane

Era una gelida notte d’inverno del 1937. Un grosso furgone nero frena di colpo in una strada buia e deserta. Ne scende silenziosamente un gruppo di uomini armati, le ombre dei loro copricapi proiettano sui muri figure minacciose alla luce evanescente dei lampioni. Uno di essi sfoglia un blocco di appunti mentre un altro si accende la pipa e aspira una profonda boccata. Il capo indica con un gesto una casa vicina, il gruppo vi si dirige impugnando le pesanti pistole d’ordinanza. Il terreno scricchiola sotto le suole dei loro stivaloni in pelle mentre salgono gli salini e bussano violentemente alla porta. Uno di loro si accosta alla fessura per le lettere e urla frasi minacciose, infine l’uscio si apre e compare una faccia pallida. La porta viene spalancata con una spallata e il gruppo irrompe nella casa, distruggendo qualsiasi cosa capiti sottomano. Quando tornano in strada, trascinano un giovane terrorizzato che chiede soccorso al padre. Un anziano signore assiste pallido, muto, con le mascelle serrate nello sforzo di dominarsi. Gli uomini in divisa non perdono tempo, irrompono nelle case vicine tra urla e pianti. Alla fine del raid nella via si ritrovano ammassate molte persone dai 17 ai 70 anni, perlopiù uomini, con i volti terrorizzati. Le guardie puntano i fucili contro i fermati, spingendoli nel furgone: non ci sono spiegazioni e i pochi che protestano vengono malmenati. La portiera si chiude e il veicolo sparisce nella notte, sotto lo sguardo silenzioso e angosciato dei parenti dalle finestre delle case. Era così che si svolgevano le retate nel corso delle grandi purghe staliniane, che soprattutto negli anni Trenta si susseguirono contro oppositori veri o presunti. Nessun avversario del regime, o supposto tale, poteva sottrarsi. Il terrore arrivava ovunque e non risparmiava nessuno.

Quando lo stato uccide il suo popolo

I raid minati che si svolgevano nel cuore della notte non erano opera di una organizzazione terroristica segreta, ma del governo stesso, e non c’era alcuna possibilità di pentimento o redenzione per i malcapitati il cui nome finiva nelle liste dei sospetti. Non c’era scampo: li aspettava la prigione, le torture per estorcere improbabili confessioni e quasi sempre, condanne a morte senza neppure l’ombra di un processo. Aver ottenuto il potere assoluto non sembrava abbastanza per Stalin. In preda ad una crescente paranoia, vedeva intono a sé complotti e minacce al suo potere. Il tiranno era assetato di sangue. Tutto era iniziato quando Sergey Kirov, fedele stalinista, fu assassinato nel 1934: Stalin reagì gridando al complotto, accusando chiunque di minacciare il regime comunista, che era il governo migliore del mondo, che difendeva i deboli e premiava i meritevoli. In realtà il cupo dominio di Stalin non lasciava spazio ad avversari o contestatori. Secondo molti storici, anche l’assassinio di Sergey Kirov era stato architettato da Stalin come pretesto per le sue purghe sanguinarie. La morte di Kirov, un politico molto amato dalla gente, liberava la scena da un uomo che poteva fare ombra al Piccolo Padre (così si definiva Stalin e così amava essere chiamato). Le purghe colpirono prima di tutto i vecchi sostenitori del partito comunista, messi alla sbarra nei cosiddetti processi di Mosca. Talvolta avevano solo l’apparenza di processi, ad uso e consumo della stampa occidentale per far credere che in Russia vi fosse una giustizia, severa ma impeccabile. In queste grossolane recite l’accusato ammetteva immancabilmente di aver cospirato contro Stalin e il partito. Confessioni estorti con la tortura e con la promessa – non sempre rispettata – di risparmiare i familiari dei “cospiratori’.

Le purghe contro gli intellettuali e i ricchi

Le purghe si estesero all’esercito, agli scrittori, agli artisti, ai ricchi e a chiunque fosse utile a mantenete sopraelevati il numero di “arresti minimi” di cui il potente NKVD il Commissariato del popolo per gli affari interni guidato da Nikolai Yezhov – aveva bisogno. Il NKVD aveva tribunali formati da tre sole persone (le troike) che emettevano rapide sentenze sommarie e semine di condanna. Ciò consentiva di pianificare l’esecuzione di migliaia di persone al giorno. Al culmine delle purghe, quasi tutti i bolscevichi che avevano preso parte alla rivoluzione del 1917 erano stati eliminati o costretti all’esilio. Finchè il soli rappresentante della rivoluzione bolscevica rimasto in Unione Sovietica fu Stalin. Fu un’ecatombe pianificata con zelo scientifico dai più stretti collaboratori del dittatore. In soli due anni – dai 1937 al 1938 – circa 1 milione e 200.000 persone furono giustiziate. Dopo la morte di Stalin, vennero rinvenute 357 liste firmate da lui stesso che autorizzavano l’esecuzione di almeno 40.000 persone. II suo cinico atteggiamento nei confronti di tante vite umane sacrificate al mantenimento del potere è esplicitato da quello che disse mentre scorreva una delle  liste: “Chi si ricorderà di tutta questa storia tra 10 o 20 anni? Nessuno”.  Come da lui previsto, il tiranno rimase impunito. Morì nel suo letto il 5 marzo 1953. Solo dopo la sua morte, il successore Kruscev rivelò al mondo i suoi crimini e tutto l’orrore di un regime che a molti era apparso modello di buon governo, severo ma giusto.

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