Oggi viviamo in un’epoca nella quale il marketing e la promozione del marchio sembrano essere davvero tutto in ambito commerciale e aziendale.
Eppure, come scienza, il marketing è relativamente breve. Ma ti sorprenderà sapere che la storia del marchio, del brand, come identificativo di un’attività, è molto più antica.
Sia la parola “marchio”, in italiano, sia la parola “brand” in inglese (di derivazione germanica) sottintendono lo stesso significato: marchiare con il fuoco. Brand infatti risale alla parola norrena “burnt” cioè bruciare.
L’usanza di marchiare i capi di bestiame per assicurarsi la riconoscibilità e la proprietà è parecchio antica. E il “marchio” ha il significato dell’indelebile.
Marchiare i capi di bestiame attraverso la marchiatura a fuoco risale ai primi secoli di diffusione dell’allevamento, nella Mesopotamia. Oggi la marchiatura ha anche un significato di tracciatura e quindi viene sostituita in alcuni casi dal microchip.
Ma il significato profondo è lo stesso: riconoscere una proprietà. E i marchi moderni, i loghi, come sono nati?
Lo sviluppo dei marchi a partire dalla rivoluzione industriale
Un impulso in senso commerciale viene dalla rivoluzione industriale, che porta alla produzione in serie, industriale e di scala a livello globale, di molti prodotti. Il consumismo, seppure già presente in alcune forme all’epoca dei romani e nelle ricche città fieristiche europee, impone la riconoscibilità dei marchi. Perché si producono gli stessi prodotti, ma da più produttori. A Pompei le forme di pane erano fatte su stampi diversi proprio per essere riconoscibili. Pensiamo poi all’uso dei simboli religiosi che segnalavano un’appartenenza: come il pesce o la croce più tardi.
È nel 1886 che ad Atlanta, in Georgia, viene fondata la Coca-Cola, con questo nome così celebre e un marchio che suona “stranamente” italiano.
La Coca-Cola è un esempio di marchio famoso, che però ha dovuto subire fin da subito la concorrenza più spietata a causa del successo del prodotto.
Ma parte del suo successo, secondo alcuni, dipende dal fatto di aver saputo interpretare l’importanza del logo personalizzato, che si riflette in tutta la comunicazione aziendale: la Coca-Cola personalizza il logo, ma anche la bottiglia e la comunicazione pubblicitaria.
Oggi si può parlare di Coca Cola come di un caso da manuale della costruzione della brand identity.
La diffusione del consumismo e del capitalismo, certificato dalla nascita della grande distribuzione organizzata, costringe i legislatori dei vari paesi a introdurre leggi di protezione del marchio (trademark), ma anche marchi associati a zone di produzione e tipologie di lavorazione.
Quando arriva la TV il terreno è fertile per l’esplosione della pubblicità e della diffusione del marchio, iniziata dapprima con i giornali e poi con la radio.
Arriva l’Età dell’Oro della pubblicità in tv e dei marchi, prova ne siano la nascita dei grandi studi pubblicitari americani, che ben presto strizzano l’occhio alla politica (celebra la serie TV Mad Men che rievoca proprio questi importanti passaggi della storia della comunicazione), mentre in Italia si dà vita al Carosello. Un poutpourri di spot pubblicitari che hanno l’obiettivo di far entrare nelle case degli italiani migliaia di prodotti: dalla casa all’auto, dalla famiglia all’alimentazione.
I marchi ai giorni nostri
Un celebre spot pubblicitario nel 1984 diretto dal regista di Blade Runner, Ridley Scott, servì a ribadire che il marchio Apple ormai stava diventando globale, proponendo una rivoluzione capace di rompere pregiudizi e barriere prima impensabili (i computer erano giganteschi e non si capiva che uso se ne potesse fare in casa).
Oggi la Apple è praticamente la più grande azienda del mondo, rinata dalle sue stesse ceneri grazie al fatto che al suo marchio, il fondatore Steve Jobs ha legato un concetto di qualità, design, semplicità nell’uso, innovazione che è difficile riscontrare in altri marchi.
La fedeltà al marchio Apple è proverbiale e ci dice molto sulla sua capacità di influenzare il giudizio dei consumatori.
L’arrivo di internet: i social media e gli articoli personalizzati
Nel 2004 nasce il colosso dei social media Facebook, in California. Ci mette un po’ a stabilire un dominio, ma alla fine impone un nuovo concetto: quello del personal brand. Ciascuno adesso è in rete e, a suo modo, può proteggere ciò che dice e ciò che fa.
I social media come Facebook e poi Instagram, sempre di proprietà di Meta di Zuckerberg, costringono le aziende a stare in rete, a confrontarsi con i consumatori, a difendere il marchio e sottoporlo alla prova delle recensioni online. A costruire un rapporto quasi personale.
Al contempo, una realtà come Google consente alle aziende di espandere la riconoscibilità del marchio legandolo alle ricerche, alle soluzioni di problemi specifici che gli utenti cercano sul motore di ricerca.
Amazon diventa sinonimo di consegna rapida, dando vita alla grande stagione del commercio online che oggi consente ai loghi di ritagliarsi un posto in rete.
Ma esistono anche possibilità prima impensabili che consentono di andare oltre la promozione aziendale legata agli articoli personalizzati. Le aziende possono imporre il marchio ovunque e usarlo nei modi più consoni, ma gli utenti possono creare un marchio tutto loro e personalizzare le stampe, lasciando la produzione all’ingrosso ad altri.
I marchi italiani: tradizione e modernità
I marchi italiani più famosi a livello globale appartengono alla moda e all’automotive di lusso.
Non è un caso: il made in Italy da sempre è collegato a un concetto di bellezza e qualità, di alto costo e rarità.
Così marchi come Gucci e Ferrari rimangono ai vertici della riconoscibilità a livello mondiale. Altri come Eni e Finmeccanica sono noti agli specialisti, ma sono sicuramente potenti e apprezzati.
L’Italia è anche cibo per cui sono noti i loghi della Nutella prodotta da Ferrero, che ha inaugurato nel tempo una serie di marchi assolutamente riconoscibili, e ovviamente Barilla e Parmigiano Reggiano.
Altri marchi molto noti sono Prada, Campari, San Pellegrino e ovviamente Lamborghini, Alfa Romeo e Ducati, legati al mondo dei motori e della velocità.
Al contempo, il falso made in Italy è proprio il tentativo di sfruttare l’appeal del marchio italiano, con tutti i suoi significati storici e commerciali, per cercare di confondere il consumatore e guadagnare alle sue spalle.