Non viviamo in anni tranquilli. Qualunque storico potrebbe ammettere che abbiamo vissuto tempi peggiori, con la guerra in casa e i bombardamenti notturni, ma per quanto fossimo allo scoperto in situazioni di aperto pericolo, la minaccia dell’instabilità dettata dal terrorismo internazionale sembra maggiore. Prova ne sia la nostra incapacità di comprendere quello che i nostri governanti, nelle assise internazionali, chiamano come nemico. Viviamo con un nemico alle porte, ma non lo vediamo. O meglio, continuiamo a vivere come se non esistesse, come in una scena di un film horror nel quale il telespettatore vede il protagonista in pericolo, ignaro di ciò che sta per succedere.
Analisi del terrorismo
Sebbene costituisca un fenomeno da tempo oggetto di analisi, per il terrorismo non si è ancora elaborata una definizione capace di sintetizzarne in maniera convincente i caratteri essenziali. Anche nella stessa separazione tra guerriglia interna o esterna e terrorismo si fa fatica a fare delle distinzioni adeguate. La storia poi la raccontano i vincitori, o meglio, tanto del giudizio sulle azioni di guerriglia dipendono sia dalle condizioni politiche, sia da quelle belliche. Un atto di resistenza può essere considerato terroristico da chi vi si oppone e viceversa. E’ sempre stato così: unica matrice le vittime. Spesso per identificare il terrorismo occorre identificare le vittime del terrorismo. Se l’azione è rivolta contro un manipolo di soldati occupanti si potrà sicuramente parlare di gesto di resistenza; se invece l’atto di violenza è rivolto contro chi sta adempiendo al proprio dovere o è un semplice cittadino inerme, che non sa di essere un bersaglio perché non ha posto in atto azioni offensive da configurarlo come tale, diventa difficile non ascriverlo alla categoria del terrorismo. Anche perché il terrorismo, lo spiega il termine, è insieme un atto violento e insieme un atto strategico. Come atto tattico di pura violenza, il terrorismo si propone di distruggere fisicamente dei luoghi o delle persone. Come atto strategico intende conseguire la paura dell’avversario, distruggerne le certezze, spezzare il morale. Nell’ambito della seconda guerra mondiale, i bombardamenti a tappeto strategici, avevano, nella dottrina tedesca e alleata, lo scopo di colpire duramente il morale delle popolazioni, infliggendo loro oltre la violenza fisica anche quella psicologica (si pensi ai bambini svegli la notte, durante bombardamenti da bombe incendiarie su Londra. O i pesanti bombardamenti di Dresda in Germania).
Terrorismo e strategia politica: anni di piombo
Quindi definire il terrorismo rimane difficile, anche nel panorama attuale o in quello appena recente. Per rimanere all’Italia, il terrorismo ascritto alla strategia della tensione, identificabile con la matrice nera e deviata, intendeva proprio conseguire uno scopo politico: creare disordine e incertezza in modo da rendere plausibile e accettabile una svolta autoritaria, auspicata da revanscisti dell’ultimo regime di Salò o da settori deviati dei servizi segreti. Per questo motivo si colpiva indiscriminatamente come nel caso dell’attentato di Piazza della Loggia, a Brescia o della strage di Piazza Fontana a Milano, il culmine di quella strategia terroristica. Nel caso delle Brigate Rosse gli avversari erano spesso cittadini che occupavano posizioni particolari, decisionali: magistrati, giornalisti, sindacalisti, dirigenti d’azienda e infine uomini politici. L’atto terroristico era mirato a conseguire un riconoscimento politico da parte dei partiti tradizionali, utilizzando la violenza per procurarlo. A questa violenza si univa la particolare ferocia nel decidere la sorte dei condannati, come dimostrano il caso dell’assassinio di Aldo Moro o quello del sindacalista Rossa. L’obiettivo strategico qui non ebbe ugualmente esito, per la fermezza mostrata dalle forze democratiche, seppure attraverso posizioni sfumate. Nel caso del terrorismo mafioso degli anni ’90 abbiamo visto fiorire un misto delle prime due strategie: terrorizzare con atti eclatanti attraverso l’uccisione di nemici storici della mafia (i giudici Borsellino e Falcone), poi cercare dallo Stato e dai partiti il riconoscimento come controparte e atti terroristici collegati a questa necessità strategica (attentati di Milano, Firenze, Roma).
Le vittime del terrorismo e del dovere
Le vittime del terrorismo e del dovere (www.avvocatoguerra.it) oggi vengono riconosciute particolarmente in ambito legislativo, consentendo ad esse di ottenere alcuni benefici altrimenti non concessi a chi perde la vita nell’esercizio della propria mansione. Anche questo, purtroppo, testimonia l’importanza storica del fenomeno terroristico nel nostro paese. Spesso ci si dimentica che con politici importanti come Moro fu anche la scorta a perdere la vita e ciò è capitato anche nelle stragi mafiose che hanno eliminato gli agenti di pubblica sicurezza insieme agli obiettivi simbolo.
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