La persuasione occulta usando delle semplici parole

Le tecniche di persuasione sono state ben spiegate dallo psicologo sociale Robert Cialdini, un’autorità nel campo. Ma quali sono le tecniche che possono essere usate ogni giorno, senza per questo doverle mettere in atto in ambito commerciale?

Quasi tutte le tattiche persuasive, occulte o manifeste, fanno leva sulla capacità di un interlocutore di mettere in atto delle tecniche capziose, basate su una leggera manipolazione del consenso.

Un consenso che si ottiene non in base a una scelta ragionata, ma a una scorciatoia psicologica che dipende dal particolare contesto nel quale ci viene rivolta una richiesta o una domanda.

Tecniche proibite di manipolazione mentale

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Scendendo nel dettaglio possiamo notare che essa funziona sia con la comunicazione verbale, sia con quella non verbale. Ma è soprattutto la prima a funzionare, dimostrando ancora una volta che non conta ciò che si dice, ma come viene detto.

Ad esempio: usare un avversativo come “ma” o “però” predispone l’interlocutore a una brutta notizia. Se dico: “andare in vacanza sarebbe bello, ma non possiamo permettercelo” il “ma” ha natura di contrasto rispetto alla proposizione principale. Un avversativo che in pratica smentisce l’assunto della fase principale, senza per questo svalutarne il significato. Le donne sono maestre dell’utilizzo di questo avversativo. Ricordate la famigerata frase: ti voglio bene, ma è meglio se rimaniamo amici. È un classico utilizzo nel quale l’avverbio “ma” non riveste alcun carattere negativo, è più un ripiego, ma con una forte carica difensiva, che non lascia margine alla trattativa. È utile per persuadere a “non” fare una cosa, piuttosto che a ottenere l’effetto contrario.

Il potere del perché

Un altro avverbio molto utilizzato, secondo gli psicologi sociali, riveste grande importanza: “perché”. Sembra che di fronte a questa parola noi umani siamo molto deboli e si può facilmente intuire. Il perché agisce da rafforzativo ed è usato spesso dalle persone più insospettabili.

Ad esempio, un vagabondo per strada che chiede soldi. Si avvicina e ci dice: “mi dai qualche spicciolo che devo mangiare?”. Il che è sostitutivo del perché: avrebbe potuto dire semplicemente “mi dai qualche spicciolo”, il suo aspetto peraltro parlava per lui e per le sue necessità.

Ma aggiungere un perché aiuta. Lo vediamo anche quando siamo in fila, ogni tanto capita che arrivi qualche signora tutta trafelata, che ci chiede di passare avanti “perché ha fretta”. Lo dice sapendo, inconsciamente, che il perché (la motivazione) sortirà un effetto positivo, alleviando il possibile disturbo che crea.

Tanto è vero che quando si è difficoltà a spiegare il perché di un’azione si risponde “perché si!”. I ricercatori pensano che dietro l’utilizzo del “perché” ci sia una tecnica ancestrale volta a far condividere alle altre persone il nostro problema. Ovviamente chi sta in fila magari si arrabbia per la signora che gli passa davanti, ma la verità è che spesso accondiscendiamo a queste richieste proprio perché per un istante, quello che basta per dare il consenso a passarci davanti, “solidarizziamo” con il suo bisogno.

Infine, l’utilizzo del perché e anche del “ma” è molto forte nei leader e nelle persone assertive in genere. L’assertività per quanto possa urtare è la caratteristica di un leader, che spesso per non apparire troppo arrogante è costretto a diluirla in formule retoriche, volte a sollecitare l’immaginazione del suo uditorio.

Un politico assertivo spiega sempre perché vuole fare una cosa e ci tiene a ribadirlo, tutto il suo discorso poggia sui “perché” delle scelte. E come potete ben immaginare, funziona benissimo.

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