La miniserie TV prodotta da HBO intitolata semplicemente “Chernobyl” ci riporta alla mente questo importante evento occorso nell’aprile del 1986. Sono passati molti anni, ma per chi ha potuto viverlo rimane un ricordo abbastanza indelebile. Prima di tutto per l’evento in sé di cui si ebbe notizia solo dopo alcuni giorni e poi per le reazioni e le conseguenze che comportò.
In seguito all’esplosione del reattore della centrale nucleare a Chernobyl, in Ucraina, allora appartenente all’Unione Sovietica (URSS), avvenuto durante un test il 26 aprile 1986, si diffonde in tutta Europa l’allarme per il rischio di contaminazione radioattiva. La nube di Chernobyl arriverà in Italia il 2 maggio.
Tra la popolazione, avvertita dai media, si registrerà la corsa all’accaparramento delle scorte alimentari dai supermercati. Il governo guidato dal presidente del consiglio Craxi emanerà una serie di disposizioni con le quali vengono proibite la vendita delle verdure e la somministrazione di latte fresco alle gestanti e ai bambini.

Dove si trova Chernobyl
Situata in Ucraina, 130 km a nord della capitale Kiev, a poco meno di 20 km dal confine con la Bielorussia (che fu colpita direttamente dal disastro), la cittadina di Chernobyl, oggi ridotta a città fantasma, aveva 13.000 abitanti prima del disastro.
La centrale con i suoi 4 reattori fu progettata negli anni 70 e costruita fino agli anni 80. Era quindi una centrale nuova, ma di vecchia concezione, basata sul reattore sovietico RBMK-1000 considerato difettoso fin dal principio.
La centrale doveva produrre energia elettrica e si trovava in un comprensorio denominato Pripyat, sostanzialmente una città costruita ad hoc per i dipendenti della centrale e le loro famiglie. Pripyat era stata pianificata come una città modello, con parchi e punti di incontro che servivano alle famiglie a socializzare e solidarizzare.
Perché il reattore era difettoso?
Nella maggior parte dei reattori nucleari dell’epoca e di quelli odierni, l’acqua viene utilizzata come liquido di raffreddamento, per moderare la temperatura del nucleo. Quando questo si riscalda produce più vapore, l’aumento delle bolle riduce la reattività del nucleo.
Questa “funzionalità” è presente in tutte le centrali moderne presenti nei paesi occidentali, quello di Chernobyl invece utilizzava ancora la grafite per moderare la reattività e mantenere sotto controllo la reazione (come il progetto originario di Fermi, in pratica).
In questo caso il surriscaldamento, una volta innescato, non diminuisce la reazione nucleare, ma l’aumenta portando a un innalzamento in positivo del cosiddetto “coefficiente di vuoto” (qui la spiegazione).
Cosa è successo a Chernobyl nel 1986
L’aspetto incredibile è che centrali con i reattori simili a quelli di Chernobyl erano abbastanza diffuse nell’URSS degli anni 80. Gli storici oggi sono propensi a credere che il disfacimento dell’URSS e il disastro di Chernobyl siano in qualche modo collegati.
Una enorme superpotenza di argilla, che non riusciva a garantire a sé stessa la sicurezza e il sostentamento necessari, travolta dall’eccesso di spese militari, mancanza di trasparenza e corruzione.
L’URSS di allora era già guidata dal giovane leader Gorbatchev, impegnato a curare la sua immagine in Occidente, ma incline a cambiamenti radicali che probabilmente non sarebbero mai stati compresi e digeriti da una popolazione che, al di là della propaganda del PCUS (Partito Comunista Sovietico, unico partito esistente e al potere dalla rivoluzione di ottobre del 1917), faceva molta fatica ad arrivare alla fine del mese.
L’incidente di Chernobyl è un po’ lo specchio della mancanza di trasparenza, dell’eccesso di burocrazia e dello stato di sfacelo cui era arrivata l’Unione Sovietica.
Va ricordato che nonostante questa arretratezza – molto ben mascherata dalle parate militari – la tecnologia sovietica era avanzata in alcuni campi, ma in altri rimaneva clamorosamente indietro (prova ne sia l’incapacità di produrre automobili leggere e sicure che potessero rivaleggiare con quelle occidentali).
I sovietici, insomma, non erano affatto gli ultimi arrivati in campo nucleare, quindi l’intera sequenza di avvenimenti che portarono al disastro fu molto sorprendente, nonostante il paese stesse per crollare.
- Il giorno prima del disastro, gli addetti della centrale si stavano preparando ad uno spegnimento del reattore numero 4, allo scopo di valutare la performance e migliorarne la manutenzione. In violazione di tutte le norme di sicurezza, gli ingegneri disattivarono il meccanismo di spegnimento automatico.
- All’una e ventitré del 26 aprile quando le barre di controllo del combustibile nucleare molto calde sono state abbassate nell’acqua di raffreddamento, si è creata una quantità ingente di vapore che, a causa dei difetti di progettazione del reattore, ha aumentato la reattività del nocciolo del reattore.
- L’aumento di potenza ha causato una vera e propria esplosione, che ha staccato il rivestimento da 1000 tonnellate che serviva a proteggere il reattore, rilasciando nell’atmosfera le radiazioni e impedendo al contempo al fluido refrigerante di arrivare nel reattore.
- Pochi secondi dopo, una seconda esplosione di potenza ancora maggiore della prima ha fatto saltare l’edificio del reattore e ha eiettato grafite bruciata e altre parti del nocciolo del reattore intorno all’impianto, innescando una serie di intensi incendi attorno al reattore danneggiato e al reattore numero 3, ancora in funzione al momento dell’esplosione. In sostanza il reattore era scoperto e bruciava.
- Le misurazioni interne con il dosimetro (contatore Geiger) per rilevare la quantità di radiazioni furono fuorvianti e ingannevoli. Allo scopo di non sollevare un polverone, ci si accontentò della misura offerta da strumenti inefficaci: 3,6 roentgen/ora che era il massimo misurabile dal contatore in uso in quel momento. In realtà le radiazioni nei pressi del reattore erano arrivate a 20.000. Considerate che basta un’esposizione di poche ore a 500 roentgen per uccidere un uomo.
Il fallout radioattivo successivo all’esplosione
Le esplosioni hanno ucciso due operai dello stabilimento, che sono stati i primi di molti lavoratori a morire entro poche ore dall’incidente. Nei giorni successivi, mentre le squadre di emergenza cercavano disperatamente di contenere gli incendi e le fughe di radiazioni, il numero di morti è salito nonostante le autorità negassero in modo risoluto che ci fossero altre vittime.
La maggior parte delle radiazioni emesse dal reattore esploso proveniva dallo iodio-131, il cesio -134 e il cesio-137, materiali estremamente instabili e pericolosi. Lo iodio-131 si disperde facilmente nell’aria e tende ad attaccarsi alla tiroide, compromettendo il funzionamento dell’organismo. Gli isotopi del cesio hanno una emivita (tempo di dimezzamento) più lungo e sono destinati a inquinare la zona per decenni.
I venti prevalenti al momento dell’incidente provenivano da sud e da est, quindi gran parte del pennacchio di radiazioni viaggiava da nord-ovest verso la Bielorussia. Tuttavia, le autorità sovietiche hanno tardato a fornire al mondo esterno informazioni sulla gravità del disastro. Ma quando gli allarmi radioattivi iniziarono a scattare in una centrale nucleare in Svezia, le autorità furono costrette a rivelare l’intera portata della crisi. Pochi anni dopo le famiglie italiane iniziarono ad ospitare bambini e ragazzi provenienti dalla Bielorussia durante le estati, in progetti di accoglienza destinati ad alleviare le loro sofferenze.
Entro tre mesi dall’incidente di Chernobyl, secondo l’UNSCEAR (il comitato scientifico per lo studio degli effetti dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti, creato dall’ONU nel 1955) e altre fonti, 31 persone sono morte per esposizione alle radiazioni o altri effetti diretti del disastro.
Più di 6.000 casi di cancro alla tiroide possono infine essere collegati all’esposizione alle radiazioni in Ucraina, Bielorussia e Russia, anche se è difficile (se non impossibile) accertare il numero esatto di casi direttamente causati dall’incidente di Chernobyl.
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