Il brigantaggio, prima e dopo il 1861.

Come fatto di delinquenza il brigantaggio era sempre conosciuto nel nostro territorio nazionale: non può pertanto ricondursi interamente al fattore dell’Unificazione (1861) e a carattere politico: cioè antipiemontese e antiunitario, né può essere identificato in toto con questo. Universalmente noto persino ai tanti viaggiatori stranieri che riempirono le stamperie di diari e racconti di viaggio il fenomeno del brigantaggio veniva quasi visto come un elemento folcloristico di alcune zone dell’Italia centro-meridionale. Questa rappresentazione generalizzata colpiva il sentimento morale di buona parte della popolazione locale, che condannava apertamente i furti e i delitti condotti con inusitata ferocia, come i delitti, i rapimenti di persone a scopo di estorsione, nonché i saccheggi indiscriminati messi in atto dalle varie bande nascoste nelle boscaglie e nelle foreste, in zone montane difficili da controllare e da raggiungere.

Di queste descrizioni letterarie esistono delle rappresentazioni artistiche forse più veraci, come un dipinto intitolatonapoli-palazzo-reale La Brigantessa ferita, conservato al palazzo Reale di Napoli a firma di Luigi Rocco. Esso mette in luce il tema della redenzione, tipico dell’iconografia del tempo, in un contrasto propriamente romantico che divide male e bene. Nella fase preunitaria l’appellativo generico di briganti, subito utilizzato dalle autorità costituite, tendeva a sottolineare al tempo stesso il collegamento effettivo coi briganti, la reale condizione di fuorilegge, nonché i modi spesso feroci e furfanteschi messi in atto dai nuovi adepti, non molto dissimili dai comportamenti abituali ai delinquenti comuni. Con il moto di Unificazione avviato dal Regno di Sardegna, il brigantaggio tradizionale assunse anche una connotazione politica, perché diversi gruppi si saldarono con i realisti del campo borbonico all’insegna di una politica contraria all’unificazione e decisamente reazionaria. In questo modo, diversi gruppi di persone delle campagne, esasperate, affamate, respinta alla periferia di un nuovo stato che non riconosceva loro alcun diritto (la legge elettorale era censurata), risposero ribellandosi in modo generale, anche se in modo niente affatto coerente. Le forme del brigantaggio insomma erano una conseguenza di questa situazione iniziale nella quale si mescolavano legittime aspirazioni politiche, posizioni antistoriche e delinquenza comune, non di rado feroce. Si aggiunga a ciò l’appoggio fornito dallo stato della Chiesa a chi sosteneva la legittimità del regno borbonico spodestato dalle armate dei volontari garibaldini. Non mancarono peraltro dei sacerdoti impegnati nelle azioni eversive dei briganti, che vissero una profonda contraddizione interiore tra l’animo pacifista del loro credo e l’impegno in una sorta di guerriglia armata che costringeva il governo di Torino a intervenire pesantemente con le truppe regolari. I contadini, vessati prima di tutto dal loro antico regno, spinti dalle parole d’ordine filo-borboniche, si unirono alla lotta ingrossando le fila delle bande costituitesi in Campania, in Basilicata, nel Molise e anche nelle Puglia. La Sicilia conobbe un movimento del genere, ma aveva dimensioni minori di quello conosciuto nell’Italia continentale.

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