Per comprendere le origini e lo sviluppo della Guerra del Vietnam, che rappresenta il più importante coinvolgimento americano del dopoguerra, dal punto di vista delle perdite, dell’opinione pubblica e degli uomini messi in campo, bisogna partire dalla Guerra Fredda.
La logica degli schieramenti contrapposti, dei due blocchi, imponeva alle due superpotenze a schierarsi su fronti lontani, quasi sempre per interposta persona.
Questo tipo di confronti si chiamano “proxy wars”, guerra per procura, nelle quali le superpotenze si sfidavano attraverso altri stati impegnati in conflitti apparentemente periferici. Pensiamo ad esempio alla Guerra di Corea, dove USA e URSS, pur non affrontandosi direttamente si sono comunque sfidate.
È successo lo stesso nella Guerra Civile in Spagna, dove lo scontro era tra fascisti e comunisti, sulla pelle degli spagnoli. La Guerra del Vietnam si configura come una guerra per procura fra opposti schieramenti, ma il coinvolgimento americano cresce così tanti, che alla fine determina una situazione di stallo nella quale gli Stati Uniti si impantanano. Lo stesso accadrà dopo anche all’URSS in Afghanistan.
La guerra in Vietnam: perché scoppiò
Le cause della Guerra del Vietnam rientrano dunque nella sfera del confronto tra le due superpotenze al momento del processo di decolonizzazione dell’Indocina. Il Vietnam apparteneva alla Francia insieme a Laos e Cambogia. Quando il movimento di liberazione dei Vietminh guidato dai comunisti di Ho-Chi-Minh iniziò la guerra contro i francesi, paradossalmente erano gli Stati Uniti i principali referenti.
Tuttavia gli americani, quando si accorsero che i Vietminh erano dominati dalla fazione comunista, non accettarono che il Vietnam si formasse come nazione indipendente dopo aver sconfitto la Francia nel 1954. Così si procedette alla formazione di due stati: il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud, nel quale si insediò una sorta di governo fantoccio etero-guidato dalla CIA.
In risposta iniziano i primi sabotaggi dei Vietcong, i guerriglieri del Fronte Nazionale di Liberazione del Vietnam del Sud. In risposta gli americani sono costretti a difendere Saigon dagli attacchi dei Vietcong, mandando dei consiglieri che istruiscano l’esercito regolare comandato da Diem, il capo di stato imposto dagli americani.
La guerra e il presidente Kennedy: i consiglieri militari
Come teatro della Guerra Fredda, il Vietnam divenne importante con le tensioni montate nell’epoca di Kennedy, nonostante dei passi verso la distensione attuati insieme al segretario del PCUS russo Nikita Sergeevič Chruščëv.
Kennedy all’inizio mandò i classici istruttori per addestrare i militari vietnamiti, temendo che prima o poi il Nord invadesse il sud, sulla stregua della guerriglia che arriva a colpire Saigon. Al momento dell’assassinio di Kennedy nel 1963 in Vietnam si trovavano ben 16.000 istruttori e c’erano già state le prime vittime. In sostanza si combatteva una guerra sporca, in sordina, che aspettava solo di essere innescata, come in Corea 15 anni prima.
Le forze comuniste iniziano l’offensiva, attaccando sempre più il Sud, il cui esercito inizia a ritirarsi anche per le forti incertezze politiche determinate dal colpo di stato militare che ha defenestrato Diem. Nell’incertezza gli Stati Uniti cercano un motivo per entrare in guerra e lo trovano nella richiesta di aiuto ufficiale del governo del Sud. Così partono i primi bombardamenti sopra la linea del 17° parallelo che divideva i due paesi.
Quando accadde l’incidente del Tonchino, per Lyndon Johnson, il successore di Kennedy, fu quasi naturale lasciarsi coinvolgere aspramente nel conflitto anche con le truppe di terra, oltre ai reparti speciali. Il coinvolgimento americano cambiò la guerra da regionale a interazione.
L’andamento della guerra era deludente e Saigon naturalmente stava perdendo terreno. Nonostante non ci sia ancora un coinvolgimento totale, arrivano anche i primi morti. Un conflitto di bassa intensità, fatto di agguati, attentati e scaramucce divenne una guerra in grande scala, la più importante vissuta dalla fine della seconda guerra mondiale.
Nell’estate del 1965, questo tipo di coinvolgimento si materializza con le prime divisioni di fanteria che sbarcano nel Vietnam del Sud.
Con la Risoluzione del Golfo del Tonchino, basata su un incidente probabilmente provocato dagli stessi americani, per giustificare un intervento più massiccio, Johnson ottiene di mandare i primi battaglioni di Marines, limitandosi a combattere solo a sud del 17° parallelo.
I soldati americani, che arrivarono a toccare il numero di 600 mila unità, sbarcarono in massa, reclutati dalla leva obbligatoria che sconvolgerà la vita di molti giovani americani, nelle calde estati del rock and roll e della tipica spensieratezza degli anni Sessanta, condizionati dalla controcultura.
La guerra si dimostrerà del tutto inefficace, nonostante i primi grandi successi, che consentono agli USA di far guadagnare al SUD tutto il territorio perduto negli anni, cambiando il rapporto di forze tra i due paesi. Tuttavia, la massiccia dose di bombardamenti, superiore a quella della seconda guerra mondiale, non riesce a sortire gli effetti risolutivi di una guerra classica, nella quale il fronte è riconoscibile e gli eserciti si affrontano in campo aperto.
I marines infatti si trovano ben presto nel pantano della giungla vietnamita, tra delta di fiumi, ostacoli naturali, vera e propria foreste nelle quali si nascondono i guerriglieri, capaci di mimetizzarsi e battere palmo a palmo tutto il territorio. In sostanza i marines non riescono ad avanzare come fronte compatto, ma sono costretti ad avanzare per squadre, cadendo spesso nelle trappole.
Nonostante i tanti prigionieri fatti, i guerriglieri comunisti sembrano più abili, grazie alla conoscenza del territorio. La guerra così non trova alcun momento risolutivo, nemmeno dopo grandi campagne di bombardamenti che colpiscono anche i paesi vicini come il Laos e la Cambogia, nel tentativo di colpire le linee di rifornimento.
Il numero di morti e le perdite americane
Gli americani intanto non capiscono come mai il paese è impegnato in una guerra così lontana, che sentono estranea alla quale partecipano centinaia di migliaia di giovani, con perdite sempre più frequenti.
Alla fine del conflitto, gli americani conteranno 58.272 morti e oltre 300.000 feriti e quasi 2000 dispersi (senza contare che morirono 266.000 vietnamiti del sud e 1.100.000 vietnamiti del nord e vietcong). L’esito è una guerra disastrosa per gli USA che perdono nonostante la loro superiore capacità militare.
Perché gli americani persero la Guerra del Vietnam
Il motivo per cui gli americani perdono è molto semplice, anche se è stato spiegato in tutti questi anni da una mole di studi e ricerche impressionante. I vietnamiti del nord conoscevano meglio il terreno di battaglia, erano motivati sia a livello ideologico, sia dal punto di vista patriottico in quanto consideravano la guerra contro gli Stati Uniti come una continuazione della guerra di liberazione contro le potenze straniere iniziata con la Francia del secondo dopoguerra.
Il popolo vietnamita si dimostrò incredibilmente resistente, come da tradizione, erigendo difese e trappole anche in zone difficili da controllare, costruendo gallerie, ospedali, ricoveri e magazzini. I bombardamenti in massa (aggravati dall’uso del napalm) si spiegano anche con l’incapacità del comando americano di venire a capo della resistenza.
Molto importante fu anche il crollo del fronte interno: il presidente che aveva voluto il maggior coinvolgimento in guerra, Johnson, non si ricandidò per un secondo mandato, lasciando il partito democratico nell’impossibilità di assumere una posizione chiara. Il candidato repubblicano Nixon promise agli americani la pace e alla fine ci riuscì, negoziandola se possibile da una posizione di maggior forza, che comportò agli USA ulteriori perdite e un sempre maggior discredito internazionale (favorito dal fatto che l’URSS, apparentemente, era rimasta del tutto neutrale nella contesa, avvalorando la tesi di coloro che vedevano lo scontro tra il gigante malvagio e il paese debole e indifeso).
Gli errori strategici del comando americano furono evidenti, dovuti in parte anche al fatto che il presidente aveva tutto il potere e poteva pianificare la guerra secondo l’emotività del momento (da allora in poi al presidente è necessario il visto del Congresso, per poter fare la guerra). L’opinione pubblica sempre più importante divenne apertamente contraria alla guerra nella seconda metà degli anni Sessanta. Grandi manifestazioni di protesta si tennero soprattutto nelle università, dove i giovani si rifiutavano di partire. Celebre fu il caso del pugile Muhammad Alì, che perse tutti i suoi titoli per la sua obiezione di coscienza. Nel 1973 fu abolita la leva obbligatoria in favore del solo esercito professionale.
Una guerra, quella del Vietnam, che oggi è sinonimo di guerra sbagliata, lunga e inutile, persa in partenza contro un nemico che dispone di armi differenti e più decisive. Si parla infatti di “vietnamizzazione del conflitto” in guerre come quella russo-afghana del 1980-88 e quella del Golfo (2003-2005 fino al ritiro americano nel 2012), proprio a sottolineare il carattere non lineare del conflitto.