Garibaldi fu il vero eroe del Risorgimento italiano. Era figlio di un padrone di tartana, oriundo di Chiavari, Domenico Garibaldi e di Rosa Raimondi di Loano, volle egli stesso seguire la professione paterna (malgrado il padre fosse contrario) imbarcandosi a 15 anni come mozzo e riuscendo, nel 1832, a diventare capitano marittimo. Durante uno dei suoi viaggi a Taganrog fece amicizia con un affiliato della Giovine Italia, la società segreta fondata da Mazzini, alla quale egli stesso si iscrisse con il nome di Borel, spintovi dai suoi sentimenti patriottici. Nel 1833, dopo essersi incontrato a Marsiglia con Mazzini, si arruolò nella marina sarda per il servizio di leva marittima: fu allora incaricato di predisporre un’insurrezione a Genova, contemporaneamente ai moti mazziniani in Savoia, con l’occupazione, fra l’altro, della fregata Des Geneys sulla quale era imbarcato; ma Garibaldi non riuscì ad avere contatti con i suoi compagni, onde, oramai compromesso, dovette fuggire a Marsiglia dove gli pervenne notizia della sua condanna a morte per tradimento (1634). Dopo qualche viaggio nel mediterraneo partì per l’America del Sud raggiungendo Rio de Janeiro nel 1836. In unione a un altro esule italiano, Luigi Rossetti, tentò di lavorare nel commercio marittimo, ma senza risultati. Appoggiò allora i ribelli repubblicani del Rio Grande do Sul, insorti contro il governo imperiale di Don Pedro II, esercitando per loro la guerra da corsa contro il Brasile, lungo le coste ed i fiumi del Brasile, dell’Uruguay e dell’Argentina.
Garibaldi e l’incontro con Anita
Dopo molte peripezie ed aver preso parte a diverse azioni belliche, cadute, per le discordie interne, le speranze dei repubblicani, lasciò la regione recandosi, nel 1841, a Montevideo. Al soggiorno riograndese risale l’incontro di Garibaldi con Anita, l’innamoramento, l’abbandono del marito per seguire l’eroe e la nascita nel 1840 del primogenito Menotti cui seguirono Teresita e Ricciotti. Morto poi il marito, il 26 marzo 1842, Garibaldi e Anita poterono unirsi a nozze a Montevideo. Anche nell’Uruguay, Garibaldi riprese a combattere in favore di quel paese che lottava contro l’Argentina. Comandante di alcune flottiglie, fu in questo periodo che fondò la Legione italiana che condusse, vestita di quelle camicie rosse che un giorno sarebbero diventate leggendarie, in diverse valorose azioni, come nei combattimenti del Cerro, del Salto e sul fiumicello S. Antonio. Quest’ultima battaglia mise in luce le qualità militari di Garibaldi, nominato generale e, nel 1847, capo della difesa di Montevideo. Le speranze suscitate nel patrioti italiani dall’elezione dl Pio IX al soglio pontificio spinsero Garibaldi ad offrire al pontefice la sua legione. L’offerta non fu accettata. Tuttavia Garibaldi partì ugualmente per l’Italia, sbarcando a Nizza nel giugno 1848, quando già le truppe di Carlo Alberto erano in marcia contro gli Austriaci. Nonostante il parere contrario di Mazzini non esitò allora ad offrirsi con le sue truppe al re, che però non volle inquadrarlo nell’esercito. Si pose allora alla testa di alcuni battaglioni di volontari, ma l’armistizio di Salasco lo sorprese mentre era ancora nella fase organizzativa; ribellatasi alla tregua, con le sole sue forze battè gli Austriaci a Luino, occupando Varese ma, attaccato da forze superiori, a Morazzone a Sud di Varese il 26 agosto, faticò poi a disimpegnarsi, riparando in Svizzera. Tornato a Genova vi fu eletto deputato, ma anziché sedere in Parlamento, preferì recarsi nell’Italia centrale organizzando una legione in appoggio al governo provvisorio di Roma. Proclamala in Repubblica Romana (9 febbraio 18491, fu nominato generale comandante delle truppe della città, battendo i Francesi a Porla S. Pancrazio ed i Napoletani presso Palestrina. Gli attacchi in massa sferrati dai Francesi ebbero tuttavia ragione dell’eroica matricola delle truppe garibaldine al Gianieolo a villa Corsini — ove si coprirono di gloria Manara, Dandolo. Mameli, Bixio – e ancora a villa Spada, ma il 2 luglio Garibaldi fu costretto a lasciare la città, incalzato da ogni parte dal nemici. Giunto dopo lunghe peripezie e con una marcia leggendaria a S. Marino, fece deporre le armi ai suoi soldati, proseguendo poi con soli 250 uomini per Cesenatico. Imbarcatosi su alcuni bragozzi che furono presto catturati dalle navi austriache, riuscì a stento a sbarcare a Magnavacca (oggi porto Garibaldi). Congedati i suoi, continuò a piedi con un solo compagno, il capitano Leggero. Nella cascina Guiccioli, Anita, incinta e gravemente ammalata, che lo aveva sempre seguito in ogni sua avventura, gli moriva tra le braccia. All’eroe neppure é concesso il conforto di seppellirla: braccato dagli Austro-papati é costretto a riprendere la fuga. Con l’aiuto di diversi patrioti Garibaldi riesce finalmente a raggiungere Portovenere (presso La Spezia), ma il governo sardo, onde evitare comprensibili complicazioni dl natura politica, lo invita ad emigrare. Fu allora a Tangeri, poi a New York, ove trova lavoro in una fabbrica di candele, quindi nell’America centrale e meridionale, poi in Cina, dedicandosi al cabotaggio; quindi ritorna a New York, sosta in Inghilterra e nel 1854 è a Nizza finché, nel 1857 può ritirarsi nell’isolotto di Caprera – dove aveva acquistato alcuni terreni – dedicandosi all’agricoltura. Pur nel silenzio però, continua a mantenere rapporti epistolari con i patrioti italiani. Si allontanava intanto sempre più dal Mazzini e aderiva alla monarchia sabauda purché questa facesse sua la causa Italiana.
Garibaldi e il sogno dell’Italia unita
Nel 1859, su invito di Vittorio Emanuele II assunse, con il grado di generale dell’esercito sardo, il comando di un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, e fu allora che essi ebbero il loro inno Si scopron le tombe, si levano i morti, dettato dal Mercantini e musicato dall’Olivieri. Scoppiata la guerra Garibaldi ebbe il compito di operare sulle sponde del lago Maggiore contro l’estrema ala destra austriaca; cooperò quindi alle azioni della 2′ guerra dell’indipendenza con l’occupazione di Varese e di Como e la vittoria di S. Fermo; dopo la battaglia di Magenta entrò in Bergamo e Brescia, sostenendo poi numerosi scontri in Valtellina. Dopo l’armistizio di Villafranca si dimise dall’esercito, e si pose dapprima al servizio della Lega fra Toscana, ducali e Romagna, in sottordine al generale Fanti, anelando ad una insurrezione dello Stato pontificio e del regno delle Due Sicilie; dissuaso dal re stesso, lasciò il comando e si ritirò a Genova. In quell’epoca sposò la marchesina Giuseppina Raimondi di Fino Mornasco, lasciandola però lo stesso giorno delle nozze, essendo stato avvisato della sua infedeltà. L’insurrezione di Palermo del 4 aprile 1860 suscito un nuovo entusiasmo patriottico nell’animo di Garibaldi che il 4 maggio lasciava Quarto, presso Genova, diretto verso la Sicilia. Sei giorni più tardi sbarcava a Marsala: a Salemi si proclama dittatore in nome del re d’Italia. La vittoria di Catalafimi e la conquista di Palermo significavano la liberazione di tutta la Sicilia, mentre da ogni parte arrivavano sempre nuovi volontari a rinforzare il suo piccolo esercito. Cadute Milazzo, Messina, Siracusa ed Augusta, Garibaldi il 19 agosto sbarcava sul continente, conquistando Reggio ed avanzando poi rapidamente su Napoli, favorito dai moti popolari che ovunque scoppiavano contro i Borboni. Cavour, nel timore di una rottura con la Francia e di un pronunciamento repubblicano da parte del garibaldini, tentò di affrettare l’annessione al regno dell’Italia meridionale, attirandosi lo sdegno di Garibaldi che avrebbe voluto affidare al re l’Italia unita solo dopo la conquista di Roma che avrebbe dovuto esserne la capitale. Mentre le truppe regie dalle Marche e l’Umbria marciavano verso il Napoletano. Garibaldi riuscì a trasformare in una sonante vittoria l’offensiva iniziata dai Borboni sul Volturno, senza tuttavia pervenire ad espugnare Capua e Gaeta. Si accordò allora con le truppe regolari, andando incontro a Vittorio Emanuele II a Teano, ed accompagnandolo il I novembre a Napoli dove il popolo aveva trionfalmente proclamalo l’annessione al regno di Sardegna. Consegnata la città nelle mani del re Garibaldi tornò nel suo solitario rifugio di Caprera con un sacco di sementi e poche centinaia di lire, dopo aver rifiutato il grado di generale d’armata, il collare dell’Annunziata e donazioni per i figli. Nel 1862, durante un viaggio in Sicilia, fu accolto da grandi dimostrazioni popolari in favore della liberazione di Roma, si che, postosi a capo di un gruppo di volontari, iniziò la temeraria impresa partendo da Catania il 24 agosto e sbarcando in Calabria presso Mileto con l’intento di proseguire verso il nord. Ma il momento non era propizio, data la situazione internazionale, e truppe regie, comandate dal colonnello Pallavicini, furono costrette a fermarlo il 29 ad Aspromonte dove, in una breve sparatoria, anche il generale rimase ferito al malleolo del piede destro. Trasportato prigioniero nel forte di Varignano, a La Spezia, fu liberalo dopo due mesi in seguito ad un’amnistia. Nel 1864 si recò in Inghilterra dove si incontrò col Mazzini nel tentativo, rimasto senza esito, di convincerlo ad appoggiare, per il bene della patria, l’unione dell’Italia sotto i Savoia. Li accettò la cittadinanza offertagli da Londra ma rifiutò 5000 sterline raccolte per sottoscrizione. Due anni più tardi, scoppiata la guerra italo-prussiano fu posto nuovamente al comando dei volontari, operò nel Trentino, fu ferito a Monte Suello e batté il nemico nella battaglia dl Bezzecca. L’armistizio lo sorprese mentre stava per raggiungere Trento: all’ordine di abbandonare la zona rispose semplicemente con la ormai celebre frase: Ho ricevuto dispaccio 1072. Obbedisco. Non rinunciò successivamente all’idea di liberare Roma: arrestato una prima volta a Sinalunga il 24 settembre 1867, condotto nella fortezza di Alessandria e poi liberato, da Caprera, eludendo la vigilanza della folla riusciva a sbarcare a Vada presso Livorno il 19 ottobre 1867, marciando poi su Roma, mentre l’insurrezione in città falliva con la sconfitta e il sacrificio dei Cairoli a Villa Glori. Per tale motivo, pur avendo conquistato Monterotondo, Garibaldi fu costretto a ritirarsi, mentre un corpo di spedizione francese sbarcava a Civitavecchia. Sconfitto a Mentana il 9 novembre, riparò in territorio italiano, donde, dopo essere stato nuovamente rinchiuso nel forte di Varignano, poté ritornare a Caprera.
La liberazione di Roma e il coronamento del sogno garibaldino
La liberazione di Roma, nel settembre 1870, non vide presenti le gloriose camicie rosse che tanto sangue avevano versato per questa città. Nell’ottobre Garibaldi dopo essersi offerto al servizio della Francia, in uno slancio ideale che dimenticava le antiche offese, sbarcava a Marsiglia prendendo poi parte alla guerra franco-prussiana: con l’occupazione e la difesa di Digione tra le armate francesi sconfitte, prigioniere o costrette a cercare scampo in territorio svizzero, il generale Garibaldi scrisse la pagina più bella di questa campagna. Dopo la sconfitta francese rientrò in Italia, dedicandosi intensamente alla vita politica, in Parlamento e fuori, appoggiando le idee della sinistra, badando però sempre ad anteporre gli interessi del Paese a quelli di qualunque fazione politica e cercando di conciliare con le esigenze dell’unità del regno i suoi sentimenti repubblicani. Scrisse in questo tempo anche un lungo poema, quattro romanzie le Memorie, tutti di carattere autobiografico, spintovi anche dalle cattive condizioni economiche cui il governo ovviò con una donazione nazionale di una rendita di 50.000 lire in consolidato al 5% ed una pensione vitalizia di altre 50.000 lire, che Garibaldi benché con molti debiti, dapprima rifiutò. accettandola solamente nel 1876 quando la sinistra venne al potere. Il 26 gennaio 1880 — ottenuto finalmente l’annullamento del matrimonio dalla Raimondi, sposo Francesca Armosino dalla quale aveva avuto tre figli. Poi raramente si allontanò da Caprera.
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