Spesso chi difende il Fascismo sostiene che l’unico errore di Mussolini è stato quello di entrare in guerra al fianco di Hitler.
In realtà non è così: visto da una prospettiva democratica il Duce compì notevoli errori, primo fra tutti la privazione dei diritti politici, la libertà di stampa e di dissenso, l’introduzione delle leggi razziali, le leggi sul confino politico e l’utilizzo della violenza nella lotta politica.
Ma tornando al nocciolo della questione: se Mussolini non fosse entrato in guerra a fianco di Hitler, il Fascismo avrebbe perdurato?
L’esempio più attinente è quello di Francisco Franco in Spagna.
Il dittatore era ispirato dal fascismo, ma la sua ideologia era addirittura più paternalista e cattolica.
Nondimeno, il non entrare nel conflitto, pur fornendo base logistica ai servizi segreti tedeschi, ha separato la sua sorte da quella di altri dittatori fascisti europei degli anni Trenta. Hitler lo pregò fino all’ultimo, ma Franco – che pure era confinante con la Francia – declinò.
Nel caso di Mussolini bisogna analizzare meglio la situazione politica e ideologica del suo tempo.
Mussolini e la Germania
Innanzitutto la scelta di scendere a fianco della Germania non era sbagliata da un punto di vista militare. È facile giudicare a posteriori, ma nella prospettiva politica italiana, nel 1940 era l’unica opzione possibile.
Di più: l’Alleanza stipulata negli anni precedenti aveva un suo fondamento ideologico. L’Italia per tutti gli anni della dittatura fascista aveva inseguito il sogno di costruire un dominio mediterraneo così forte, da togliere spazi di manovra alla Francia e all’Inghilterra, presente a Gibilterra e Suez, le porte del Mare Mediterraneo. E a Malta, nella strozzatura del canale di Sicilia.
Ma fino al riarmo tedesco, sia gli Italiani, sia i Francesi, sia gli Inglesi erano convinti di poter utilizzare la Germania a proprio piacimento, secondo l’utilità del momento.
I francesi erano in piena crisi economica, con i socialisti e i comunisti che premevano contro i partiti borghesi e padronali. Una Germania azzoppata dal Trattato di Versailles non era pericolosa per loro. La dottrina militare dominante assegnava al sistema difensivo francese un’assoluta superiorità sulle velleità hitleriane.
Per Mussolini Hitler era uno spauracchio da agitare, per fare in modo che le potenze “plutocratiche” (citiamo Mussolini) si arrendessero alla volontà di potenza italiana, che poi si esplicava in pochi, vecchi e superati concetti: un po’ di mano libera in Africa e posizioni di privilegio nei Balcani.
L’Unione Sovietica non veniva nemmeno considerata nel gioco, anche se la Polonia – coinvolta nel gioco delle alleanze – ne era confinante e presa in mezzo. Come sempre.
Mussolini alleandosi con la Germania aveva solo quella strada obbligata, ma la firma dell’Asse (1938) non fu un errore per il fatto che portò alla guerra. Mussolini ci sarebbe entrato anche senza un formale impegno scritto.
Poi nel 1940 la guerra era praticamente vinta. Quando le truppe italiane attaccarono i francesi, l’esercito francese si era già dichiarato sconfitto (dai Tedeschi).
Era una mossa da vigliacchi entrare in guerra in quel momento, da meri opportunisti, ma nel calcolo politico Mussolini non aveva alternative migliori. Era una mossa cinica esattamente come il cambio di alleanze nel 1915. L’aggravante era data dalla natura dei regimi in gioco, ma allora non la si pensava così.
Il problema grave, vero, è che alleandosi con la Germania l’Italia perse di colpo la propria manovrabilità politica, la propria importanza diplomatica. E senza obiettivi politici non si può fare la guerra. Se fai la guerra senza chiarire quali sono gli obiettivi politici stai semplicemente mandando dei soldati allo sbaraglio.
L’Asse Roma-Berlino avrebbe avuto senso fin tanto che Mussolini stava nel mezzo a fare da cerniera tra Francia e Germania, usando la sua sempre minore influenza su Hitler per ottenere concessioni buone per tutti. Gli italiani sono bravi a tenere i piedi in due staffe, lo hanno fatto anche negli anni Ottanta, per districarsi nei conflittuali rapporti tra palestinesi e israeliani, sovietici e americani.
Invece, sposando in toto la causa della Germania, Mussolini perse ogni influenza e libertà d’azione. Sui Balcani peraltro fece quasi subito da spettatore e quando iniziarono le operazioni belliche, fu chiaro che senza la Germania non potevamo raggiungere dei veri obiettivi politici.
La spedizione in Grecia fu un disastro e nonostante la campagna di Russia fosse all’inizio promettente, avevamo posto le condizioni per un ruolo da comprimari. In definitiva, da sconfitti in partenza.
Guerra e fascismo erano inseparabili
C’è poi un dato ancora più importante: il Fascismo impiegò il decennio della stabilizzazione del Regime, l’epoca definita del “consenso”, per cercare di instillare negli italiani un animo guerriero. Mussolini se ne lamentava parecchio.
Le avventure belliche di Etiopia e Spagna, vergognose da un punto di vista umanitario, avevano abituato gli italiani all’idea della guerra, ma erano state presentate come delle scampagnate o poco più. Lo stesso spirito animò la spedizione in Grecia, imbarazzante sotto ogni aspetto.
Si risentì anche quando qualcuno dei suoi, forse tradito da un eccesso di adulazione, volle proporlo per il Nobel per la Pace.
Durante un discorso pubblico, nel 1934, disse:
“Stiamo diventando e diventeremo sempre più, perché lo vogliamo, una nazione militare. Poiché non abbiamo paura delle parole aggiungeremo: militarista. Per completare: guerriera“.
Quando decise di rimanere neutrale lo fece a malincuore. Per non definirsi neutrale coniò il termine della “non-belligeranza”, cioè uno stato di non guerra.
La guerra però è sempre stata nella natura del Fascismo perché l’ideologia nazionalista è una ideologia di attrito, esiste in rapporto alla sfida tra nazioni. Come concetto è molto fine-Ottocento, molto darwiniano, ma allora la si pensava così. E inoltre il Fascismo è figlio delle conseguenze della Grande Guerra.
Mussolini non aveva alternative alla guerra perché rimanere neutrale significava smentire la natura stessa del Fascismo.
Come detto sopra, non aveva reali alternative politiche e diplomatiche rispetto alla schieramento da scegliere, considerato l’imbuto diplomatico nel quale si era cacciato stipulando il patto dell’Asse.
Che la scelta fosse sbagliata, lo rivela il fatto che l’Italia vi entrò senza avere alcun obiettivo politico in mente, se non quello della comunanza di ideologie. Peraltro Mussolini era riuscito a perdere anche il bastone del comando del fascismo internazionale, facendoselo sfilare da Hitler.
(foto: Francisco Franco junto a autoridades militares en unas maniobras, di Vicente Martin, Fondo Car-Kutxa Fototeka).