70 anni fa il processo di Norimberga

Il processo di Norimberga durò un anno, dal novembre del 1945 all’ottobre del 1946 e mise di fronte i giudici delle potenze vincitrici e i gerarchi nazisti che era stato possibile catturare e processare. Tra questi erano presenti alcuni capi: Hermann Goering, numero due del regime fin quasi alla fine del conflitto; Rudolf Hess, che era stato numero due prima della sua cattura nel 1941; Joachim Ribbentrop, ministro degli esteri nazista e fautore del patto di non aggressione col suo omologo sovietico Molotov; Hans Frank, soprannominato il “boia della Polonia” per la sua attività di sterminio ai danni degli Ebrei nei territori occupati; Ernst Kaltenbrunner, responsabile dell’eccidio di Auschwitz; Wilehlm Keitel, generale e capo del comando supremo delle Forze Armate; Albert von Speer, ministro degli armamenti e architetto del Fuhrer; Karl Doenitz, grand ammiraglio e capo della Flotta e dei sottomarini che tanta distruzione avevano arrecato durante le fasi della battaglia dell’Atlantico.

Il processo iniziò il 20 novembre sotto l’egida di giudici appartenenti a Francia, URSS, Stati Uniti e Gran Bretagna. Esso diede formalmente tutti i diritti alle difese, che contestarono prima di tutto la natura dei fatti come reati, dal momento che al tempo in cui furono commessi essi non erano considerati reati. Secondo le difese inoltre il principio del contraddittorio era minato dalla nazionalità dei giudici, tutti appartenenti al campo delle nazioni avversarie della Germania. Queste istanze preliminari non furono accolte e la corte invitò gli imputati a dichiararsi colpevoli o non colpevoli, tutti optarono per la seconda opzione, dichiarando che stavano solamente eseguendo degli ordini (Goering rivendicò la paternità di tutti gli atti, in quanto capo nazista). Molti comunque dissero che la linea di comando imposta da Hitler era quella tipica di una dittatura ferrea e militare, alla quale non si poteva scampare, come dimostravano anche le persecuzioni interne. In particolare alcuni imputati (tra i quali diversi quadri e dirigenti di partito) attribuirono ad Heinrich Himmler e alle sue SS la responsabilità degli atti di terrore di cui li si accusava (in particolare l’eliminazione degli Ebrei e di altre minoranze, i reati politici e le stragi di guerra).

Agli imputati furono ricordati tutti i delitti perpetrati fin dagli anni 30, come l’incendio del Reichstag, la notte dei lunghi coltelli, che tolse la vita a ben 1076 persone, nonché alla sistematica epurazione degli avversari politici (comunisti e cristiani). La sentenza di condanna era inevitabile. Alcuni imputati presentarono domanda di grazia, ma fu respinta. Per i principali responsabili fu comminata la condanna a morte, ma non per Speer e Doenitz.

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